Giovedì 8 agosto – Bangla

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Italia 2019
Regia
Phaim Bhuiyan
Sceneggiatura
Vanessa Picciarelli
Phaim Bhuiyan
con
Phaim Bhuiyan
Carlotta Antonelli
Alessia Giuliani
Fotografia Simone D’Onofrio
Montaggio Roberto Di Tanna
Scenografia Mauro Vanzati
Costumi Patrizia Mazzon
Musica Dario Lanzellotti
Durata 86 minuti
Distribuzione Fandango

Ospite della serata
il regista Phaim Bhuiyan

Trama

Phaim è un giovane bengalese musulmano. Ha ventidue anni, è nato in Italia, vive con la famiglia a Torpignattara, lavora come steward in un museo e suona in un gruppo. Durante un concerto incontra Asia, istintiva, sregolata, molto diversa da lui. Nasce l’amore, che Phaim dovrà conciliare con la prescrizione islamica della castità prima del matrimonio.

Ci sono le ombre assertive e scanzonate del primo Nanni Moretti, siccome Ecce Bangla. Si avverte lo stream of consciousness à la Paterson, almeno a dar retta al regista. Ci sono, quantomeno si vedono, le influenze familiari di East Is East e le geometrie di coppia di (500) giorni insieme. C’è, soprattutto, il nitore acuto e il calmo furore di Phaim Bhuiyan, che scrive e si dirige in una commedia sentimentale al tempo, e nei modi, delle seconde generazioni. Diciamolo subito, Bangla è un piccolo grande film, in cui la povertà dei mezzi è ricchezza ideale, sprone creativo, libertà d’espressione: se le dimensioni contano, anche quelle produttive, qui Tim Vision e Fandango, di più conta il divario tra promessa e fine, premesse e svolgimento, che il ventiquattrenne italiano di origine bengalese Bhuiyan appiana facilmente e felicemente. Supportato creativamente e fattivamente da Emanuele Scaringi, Bhuyian fa di necessità produttiva virtù estetica: davanti alla macchina da presa è come se ci vivesse abitualmente, dietro predica semplicità e raccoglie naturalezza, intestando a sé e ad Asia/Carlotta uno sguardo anagraficamente, emotivamente ed empaticamente all’altezza. Il dato autobiografico, quello spicciamente delle seconde generazioni, si diluisce senza grumi ideologici né sovra-intenzioni politiche nel voltaggio universale della storia d’amore, nell’indicazione antropologica tipica delle identità multiple e della sintesi auspicabile: si ride, si sorride, e mentre lo fai ti accorgi di un surplus di significato, di uno slittamento di senso, di una sprezzatura gentile, ovvero di un intento comprensivo e originale, pubblico e privato.

Federico Pontiggia, www.cinematografo.it