Mercoledì 25 agosto, ore 21,15
Favolacce
regia di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo
Sceneggiatura Damiano e Fabio D’Innocenzo
con Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Lino Musella
Fotografia Paolo Carnera
Montaggio Esmeralda Calabria
Scenografia Emita Frigato, Paola Peraro, Paolo Bonfini
Costumi Massimo Cantini Parrini
Durata 98 minuti
Distribuzione Vision Distribution
Italia, 2020
Nell’isolata periferia a sud di Roma, l’esistenza insignificante contrassegna le poche famiglie residenti e i loro figli appena adolescenti. Da genitori irrequieti come Bruno e Dalia, insoddisfatti, contrariati persino dalle piscine artificiali, stretti nelle loro villette a schiera, è logico aspettarsi uno sconforto che i figli, nonostante l’ottimo rendimento scolastico, traducono in silenziosa e passiva solitudine, ma anche in decisioni estreme, collegiali. Questi coetanei, sconvolti dalla prospettiva di crescere e diventare adulti o genitori, dati i cattivi esempi circostanti, condividono sorte, congegni e progetti oscuri.
Il senso di Favolacce si riassume già nel titolo. O nel primo verso, Perché va letta due volte una poesia così, di una delle loro raccolta di liriche, Mia madre è un’arma. Come ogni poesia, la parabola del film ha bisogno di essere “letta” almeno “due volte”, scrivono. Discorso che a maggior ragione vale per un favola dark, o “favolaccia”, moltiplicata tante volte quanto i destini incrociati di cinque adolescenti (e una neonata, con ancora meno voce in capitolo) che nel loro disperato silenzio si fanno diversamente sentire. Questi nuovi eroi a parte dei gemelli D’Innocenzo nascono prima dei due amici de La terra dell’abbastanza. Si scontrano con un mondo dai contorni inquietanti che ha le sembianze della normalità domestica, piccolo-borghese, dove la ferocia, i volti e le parole pietrificate dei genitori, soprattutto maschili fanno spavento. Sono dunque ragazzi che, di contro, maturano un’intelligenza tragica. I loro sguardi e i loro silenzi, l’oscillazione tra il bisogno di prolungare l’infanzia e affacciarsi alla soglia della sessualità, celano la segreta disperazione con cui rispondere alla crudele indifferenza degli adulti, del mondo, dell’ordine immutabile delle cose. Nelle loro parabole anti-pedagogiche i D’Innocenzo esplorano le cause, quindi le conseguenze offrendo vedute alternative sull’esistente. Preferiscono la distanza e il racconto involuto, la provocazione “favolistica” e l’immagine ora campestre per mescolare diversamente il realismo e la fantasia sgrammaticata. Elaborano le inquadrature come versi sciolti, liberi, senza nulla concedere e tutto donando allo spettatore, senza infingimenti. Ancora, nella poesia citata: “Perché è una poesia mia, / ed è solo mia, tutta mia, / non tua, mia / e anche se è brutta è mia”. Favolacce è “cinema di poesia”, in tutti i sensi.
Ospiti della serata
Damiano e Fabio D’Innocenzo